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La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme

Libri vari / Societa', Politica e Comunicazione

Autore: Hannah Arendt

Editore: Feltrinelli

Collana: Universale economica. Saggi

Anno: 2019

EAN/ISBN: 9788807892974

LIBRO disponibile
12.35€
Prezzo iniziale 13.00€; Sconto 5 %
 

«Le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, né demoniaco né mostruoso.»

Otto Adolf Eichmann, catturato in un sobborgo di Buenos Aires la sera dell'11 maggio 1960, trasportato in Israele nove giorni dopo in aereo e tradotto dinanzi al Tribunale distrettuale di Gerusalemme l'11 aprile 1961, doveva rispondere di quindici imputazioni, avendo commesso, "in concorso con altri", crimini contro il popolo ebraico, crimini contro l'umanità e crimini di guerra sotto il regime nazista, in particolare durante la Seconda guerra mondiale. Hannah Arendt va a Gerusalemme come inviata del "New Yorker". Assiste al dibattimento in aula e negli articoli scritti per il giornale sviscera i problemi morali, politici e giuridici che stanno dietro al caso Eichmann. Ne nasce un libro scomodo: pone le domande che non avremmo mai voluto porci, dà risposte che non hanno la rassicurante certezza di un facile manicheismo. Il Male che Eichmann incarna appare alla Arendt "banale", e perciò tanto più terribile, perché i suoi servitori più o meno consapevoli non sono che piccoli, grigi burocrati. I macellai di questo secolo non hanno la "grandezza" dei demoni: sono dei tecnici, si somigliano e ci somigliano.



Hannah Arendt

1906, Linden (Germania)

Filosofa tedesca.
Formatasi nelle università di Marburgo, Friburgo e Heidelberg, ebbe come maestri Heidegger, R. Bultmann e K. Jaspers.
Di origini ebraiche, nel 1933 emigrò in Francia, per poi trasferirsi negli Stati Uniti nel 1940.
I suoi principali interessi si sono orientati sull’agire politico, inteso come dimensione pubblica dell’esistenza umana.
In "Le origini del totalitarismo" (1951), la Arendt ricostruisce il processo storico
che ha condotto alle dittature europee e alla seconda guerra mondiale; i momenti decisivi di tale processo (antisemitismo, imperialismo e trasformazione plebiscitaria delle democrazie) sono interpretati come effetti di una complessiva de-politicizzazione della cultura moderna.
"Vita activa" (1958) propone l’e1aborazione in termini filosofici del contrasto tra un tipo di
comunità politica - la polis greca al tempn di Pericle - e la decadenza dell’agire politico nel pensiero occidentale.
Benché nella contrapposizione tra Grecia e modernità si avvertano influssi heideggeriani, la Arendt rifiuta l’esito anti-mondano dell’ultima filosofia di Heidegger.
L’agire, per la Arendt, definisce l'essere umano come essere-con-gli-altri: l'identità umana costituisce nell’intimità della coscienza soggettiva e neppure nella società (intesa come sfera dei bisogni, del lavoro e della riproduzione), ma piuttosto nella sfera pubblica.

La Arendt ha delineato quest'antropologia politica in numerosi contributi: "Sulla rivoluzione" (1963) analizza soprattutto gli esiti perversi delle rivoluzioni americana e francese, cioè il passaggio dalla libertà pubblica al dominio della società amministrata e dello Stato
"Passato e futuro" (1961) e altri saggi estendono la critica della modernità a problemi come la storia, l'autorità e la tradizione; "Ebraismo e modemità" (1978, postumo), e, soprattutto "Rahel Varnhagen" (1958), biografia di un'eroina della Berlino romantica, interpretano l'ebraismo moderno come scisso tra l'aspirazione all'assimilazlone sociale e la fuga nell’interiorità, aspetto proprio di una più ampia tendenza del moderno alla polarizzazione tra coscienza soggettiva e sfera sociale.
Favorevole a una cultura ebraica laica e tollerante, la Arendt si è spesso trovata in contrasto con le comunità ebraiche ortodosse, a partire dal controverso reportage sul caso Eichmann, "La banalità del male" (1963).
Negli ultimi anni della sua riflessione, ha operato una rivalutazione della vita contemplativa; in "La vita della mente", opera rimasta incompiuta e uscita postuma nel 1978, l'esperienza spirituale viene articolata in tre attività fondamentali: pensare, volere e giudicare
Senza rinunciare al ruolo preminente dell'agire nella definizione dell’identità umana, la Arendt
esprime un certo scetticismo nei confronti della possibilità di un'esperienza politica autenticamente libertaria nella società di massa.
Atteggiamento ribadito anche nel ciclo dl lezioni sulla filosofia politica di Kant (1982, postumo)in cui la dimensione pubblica dell'esistenza non è più individuata nell’agire politico, ma nel giudizio, vale a dire nella capacità di saper osservare lo "spettacolo del mondo".

Tratto dall'enciclopedia Garzanti della Filosofia

  • Formato
    348 p., Brossura
  • EAN
    9788807892974
  • prezzo
    12.35€

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